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Lo scontro cominciò il 25, a giorno fatto. I francesi si erano schierati su tre linee miste di cavalieri, fanti, balestrieri e arcieri, la prima delle quali era comandata dallo stesso conestabile e dal maresciallo di Francia, Giovanni le Maingre conosciuto come Boucicault. Un forte contingente mobile, sulla sinistra del dispositivo, avrebbe dovuto attaccare gli arcieri nemici e scompaginarli. Gli inglesi avanzarono fin dal primo mattino, fino a disporsi verso le 11 nel punto più stretto della pianura, appoggiati alle due aree forestali, organizzandosi in tre modesti corpi di cavalleria separati e affiancati da massicci reparti di arcieri disposti, sui lati, in posizione avanzata, in modo da conferire al dispositivo la forma di una mezzaluna appoggiata ai margini boscosi e quindi impossibile da aggirarsi. Gli arcieri si erano provvisti di robusti pali di legno appuntiti ai due lati, che avrebbero piantato dinanzi a loro all'atto della carica della cavalleria nemica per infrangerne l'urto.
Era Enrico obbligato a dar battaglia, se voleva raggiungere Calais. Tuttavia, l'iniziale e forse fatale errore dei francesi fu il loro iniziale indugio: era evidente che la loro tattica era difensiva, tuttavia, se avessero attaccati per primi, avrebbero impedito agli inglesi di occupare il centro del campo e di utilizzare la strozzatura del terreno per attestarsi in un punto in cui le foreste ai lati impedivano ai cavalieri di compier manovre d'aggiramento e dal quale potevano colpire con le loro frecce il nemico, dato che il lungo arco inglese aveva una portata di circa 250 metri, molto superiore a quella delle balestre di cui i francesi erano largamente dotati.
Verso mezzogiorno, poiché i francesi restavano immoti, furono gli arcieri inglesi ad attaccare con un micidiale nugolo di dardi. La cavalleria francese, a quel punto, non poteva che scatenare al galoppo le sue "battaglie" laterali per scompaginare i micidiali reparti nemici: ma la pioggia e il terreno fangoso rallentarono la carica e i cavalieri, decimati dalle frecce nemiche, dovettero ripiegare verso il centro finendo per scompaginare i loro stessi compagni che, dalla formazione centrale, stavano a loro volta avanzando dopo aver fatto appiedare i cavalieri. I francesi, accalcandosi verso il centro del campo di battaglia per evitare le frecce degli arcieri che li incalzavano dai lati, finirono col ricevere il loro principale danno da quello che era il loro grande vantaggio iniziale, la superiorità numerica.
Seguì un durissimo, ma breve corpo a corpo: nel quale i cavalieri erano svantaggiati rispetto ai fanti dato il peso delle loro armature, mentre gli arcieri e i balestrieri - abbandonate le loro armi da lancio - vi prendevano ferocemente parte con le spade, le asce e le mazze di cui erano dotati.
Dopo una mezz'ora di quel macello, che gli inglesi avevano dominato avanzandosi nella disordinata calca dei nemici e decimandola come mietitori al lavoro, la giornata era decisa. Sussisteva il pericolo della terza linea francese, rimasta quasi intatta ma che rinunziò allo scontro: vi furono solo alcune isolate reazioni, come un assalto inatteso al campo inglese condotto con un metodo da guerriglia, che portò al massacro di molti feriti e al saccheggio della stessa tenda reale.
La persistente superiorità numerica francese procurava tuttavia ancora parecchie preoccupazioni al re, che impartì per questo il poco opportuno e non onorevole comando di uccidere i molti che erano stati presi prigionieri: provocando sia lo scontento dei suoi uomini, che si aspettavano di conseguire grossi guadagni dai riscatti, sia l'indignato rifiuto dei cavalieri che respinsero un ordine tanto contrario ai loro valori morali. Gli imprigionati spediti in Inghilterra in attesa di riscatto giunsero tuttavia a 1500.
Si calcola che le perdite francesi fossero ingenti: 1.560 cavalieri, circa 7mila tra fanti e balestrieri (altre fonti fanno arrivare i caduti a quasi 10mila). Gli inglesi non persero più di 400 uomini; e, tra i loro nobili, cadde solo il duca di York, zio del sovrano.
Dopo la battaglia, i francesi tentarono solo, senza successo, di riconquistare Azincourt. Intanto l'assassinio di Giovanni senza Paura indirizzò decisamente il nuovo duca di Borgogna, Filippo il Buono, a stipulare un'alleanza con il re d'Inghilterra: frutto di tale nuovo equilibrio fu il trattato di Troyes del 1420, che assegnava a Enrico d'Inghilterra - il quale aveva intanto sposato Caterina, la figlia del destituito Carlo VI - la corona di Francia.
I giochi non erano tuttavia stati del tutto ancora fatti: non lo sono mai, nella storia. Focolai di resistenza restavano, attorno al delfino Carlo fratello di Caterina che non si era rassegnato a veder svanire così i suoi diritti ereditari al trono. Enrico, ammalatosi di dissenteria nel corso di una campagna estiva contro gli insorti, morì trentacinquenne nell'agosto del 1422. Sette anni dopo, una ragazzina lorenese che diceva di parlare con gli angeli e i santi avrebbe di nuovo capovolto l'equilibrio determinato dalle armi di Azincourt.